mercoledì 28 luglio 2010

Giorno 11

Ci svegliamo un po’ demoralizzati, consci che le prossime 3-4 giornate saranno passate quasi completamente in macchina.
Andiamo a visitare l’unica cosa che puo’ offrire Memphis: la villa di Graceland, la casa di Elvis.
Mai visto qualcosa di così pessimo gusto. Kitsch in una maniera assurda, tappeti moquette e tendaggi dovunque, pavimenti e soffitti compresi, specchi ogni 2x3, e via di questo passo.
Comunque, mi aspettavo dimensioni esagerate americane, invece è una casa tutto sommato piccola. E’ solo arredata male, ecco.

Verso le 11 si riparte e via che si va, e appena usciamo da Memphis superiamo il Mississippi: anche qui diciamo che potrebbe assomigliare tipo al torre, ma con tanta più acqua. Ormai niente mi puo’ stupire. Specialmente dopo aver visto per strada un tizio che ha deciso di riparare lo sportelletto della benzina, un po’ ballerino, INCHIODANDOLO con un asse alla fiancata della macchina. Che fa il paio con quello che andava in giro tranquillamente con la marmitta per terra. E quello che stava aspettando la buca giusta per far staccare il paraurti dietro.

La nostra direzione attualmente è da qualche parte dopo Oklahoma City. Città famosa per un bel niente. Anzi no, nel ’95 un ex-marine ha fatto esplodere tre palazzi con un’autobomba di fertilizzante. Per qualcosa bisogna pur essere famosi.

Man mano che procediamo il paesaggio si modifica verso qualcosa di più rurale e meno cittadino. In giro si vedono solo vecchi col pickup e camion, per la strada gli alberi lasciano il posto a balle di fieno e vacche. Del resto, non manca molto per arrivare in Texas, e come ci rigorda il tenero Maggiore Hartman in Texas nascono solo due cose: i tori e le checche. Quando ci fermiamo in un’uscita della freeway I40 per fare benzina, apriamo la porta e ci accoglie una penetrante zaffata di stallatico. Odore di merda, per dirla. Ecco l’essenza dell’Oklahoma.

Questo aggiornamento vi arriva un po’ in ritardo, perché qua comincia a non funzionare niente. Non c’è una grande copertura. Ai veri texani non serve, il cellulare. Prendono un indiano e gli fanno scrivere un segnale di fumo.

Se non altro mi consola guardare la cartina e vedere dove siamo arrivati!

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